Nel suo libro dal titolo “Pensieri lenti e veloci”, l’autore (Kahneman) scrive che ognuno di noi ha al suo interno due differenti parti di sè, vale a dire due diversi tipi di “sé”.
👉🏼 Chiama “sé dell’esperienza” quella parte di noi che vive nel momento presente, istante dopo istante.
👉🏼 Chiama “sé della memoria” la seconda parte di noi, basata sui ricordi di tutto ciò che abbiamo vissuto in passato.
L’esperimento della mano fredda ci aiuta a capire meglio le differenze tra queste due parti di noi. Ai partecipanti venne chiesto di affrontare 3 prove leggermente dolorose.
🟡 Nella prima prova veniva chiesto loro di immergere una mano in un recipiente con dell’acqua fredda per un minuto.
🟡 Nella seconda prova, i partecipanti dovevano immergere l’altra mano in un recipiente sempre pieno di acqua fredda, ma per un tempo più lungo (1 minuto e 30 secondi). Passato il primo minuto, però, all’ insaputa dei partecipanti lo sperimentatore schiacciava un pulsante. Questo pulsante permetteva di introdurre nella bacinella un lieve flusso di acqua calda, che aumentava la temperatura complessiva dell’acqua di circa un grado.
🟡 Nella terza prova, venne lasciata ai partecipanti la possibilità di scegliere a quale delle due prove precedenti preferivano sottoporsi nuovamente.

Un osservatore esterno e obiettivo, che avesse compiuto la scelta per qualcun altro, avrebbe indubbiamente optato per ripetere la prova più breve. Ma per i partecipanti dell’esperimento sorprendentemente non fu così.
È utile pensare a questo dilemma come a un conflitto tra i nostri due sé.
👉🏼 Il sé dell’esperienza è quello che risponde, momento per momento, alla domanda: «Fa male, adesso?».
👉🏼 Il sé della memoria è quello che risponde alla domanda:
«Com’è stato, nel complesso?».
Quando le persone scelgono quale episodio rivivere, sono guidati dal loro sé della memoria e si espongono (vale a dire, espongono il sé dell’esperienza) a un dolore inutile, scegliendo la prova più lunga che però ha lasciato in loro un ricordo meno traumatico.
🔺 Giusto o sbagliato che sia, i risultati evidenziano che la gente sceglie in base al ricordo quando deve decidere se ripetere oppure no un’esperienza. In breve, i nostri ricordi se ne fregano della durata delle esperienze vissute, e assegnano a due singoli momenti pesi molto maggiori che agli altri: il picco (cioè il momento più intenso, di piacere o di dolore) e la fine dell’episodio. Questo rappresenta a tutti gli effetti un errore della mente umana, che ci fa temere di più un breve periodo di sofferenza intensa, rispetto a un periodo molto più lungo di dolore moderato.
Queste evidenze spingono ad una riflessione su come condurre gli interventi ospedalieri.
👉🏼 Se l’obiettivo è quello di ridurre nel paziente il ricordo del dolore, abbassare l’intensità del dolore provato dalla persona potrebbe essere più importante che ridurre al minimo la durata della procedura. Allo stesso modo sarebbe preferibile il sollievo graduale al sollievo improvviso, perché permette al paziente di conservare un ricordo migliore dell’operazione.
👉🏼 Se l’obiettivo è invece quello di ridurre la quantità di dolore effettivamente provato, sarebbe più appropriato eseguire la procedura in fretta, anche se così facendo si aumenterebbe il picco del dolore e si lascerebbe il paziente con un ricordo orribile.
🔺 I ricordi sono tutto quello che possiamo conservare della nostra esperienza di vita, eppure spesso sono molto imprecisi. Confondere l’esperienza che abbiamo vissuto con il ricordo che abbiamo di essa è un’illusione. O meglio, è un brutto caso di disattenzione per la durata. Significa che spesso assegniamo alla parte positiva e alla parte negativa della nostra esperienza peso uguale, anche se la parte buona è durata dieci volte quella cattiva. La parte di noi che vive nel momento presente non ha voce. Quella che invece ci fa ricordare le esperienze vissute a volte si sbaglia, ma è quella che segna i punti e prende le decisioni.
🟡 Un altro studio che ci fa capire meglio queste dinamiche è quello della monetina sulla fotocopiatrice. I partecipanti questa volta furono invitati a compilare un questionario su quanto fossero soddisfatti della loro vita. Prima che iniziassero il compito, però, venne chiesto loro di fotocopiare un documento. Metà dei partecipanti trovarono sulla fotocopiatrice una moneta da dieci centesimi, messa lì apposta ma a loro insaputa. L’insignificante colpo di fortuna produsse un netto miglioramento della soddisfazione generale di vita!

🔺 L’esperimento della monetina dimostra che, quando diamo una risposta, alcune cose pertinenti alla domanda ci verranno in mente, mentre molte altre no. Su qualunque aspetto della vita indirizziamo l’attenzione, esso apparirà determinante nella nostra valutazione globale. Anche quando non siamo influenzati da episodi del tutto irrilevanti (come la moneta sulla fotocopiatrice) il punteggio che assegniamo in fretta alla nostra vita non è determinato da un’attenta valutazione dei vari ambiti della nostra esistenza, bensì da un piccolo numero di idee che in quel momento ci vengono più facilmente in testa.
👉🏼 A causa di questi errori tipici della mente umana, si è visto anche come la «felicità totale» della vita per le persone è data dalla felicità di un periodo tipico della vita, e non dalla somma della felicità provata durante tutta la vita.
👉🏼 Allo stesso modo ragioniamo riguardo ai nostri fallimenti. Ad esempio, il fallimento di un matrimonio è come una melodia con un suono stridulo alla fine: il fatto che sia finita male non significa che sia stato tutto brutto.
Per quanto ci possa sembrare strano noi siamo i nostri ricordi, e il nostro sé dell’esperienza, quello che vive la nostra vita, è come un estraneo per noi. Di questo si tiene conto anche quando si misura il benessere. Per questo, le domande sul benessere generale delle persone dovrebbero essere prese “cum grano salis”, come granelli di sale.
G.Manoni