📌 28 Febbraio 2021
Con l’arrivo del robottino o meglio del “rover” «Perseverance» su Marte, si apre una nuova pagina: comincia una missione piena di obiettivi importanti, che riguarderà anche future spedizioni di uomini su Marte. Ma i problemi da affrontare in questo caso non saranno soltanto quelli tecnologici.

Negli anni passati, il fallimento di alcune missioni spaziali è dipeso non solo da problemi tecnici, ma anche dall’impatto psicologico dell’esperienza vissuta dagli astronauti. Lo Spazio è di sua natura un ambiente estremo, assolutamente stressante. Può succedere di tutto in qualsiasi momento e la lontananza dalla Terra fa sentire gli astronauti persi, lontanissimi da ogni cosa. È stato calcolato che il ritardo nelle comunicazioni tra Marte e la Terra arriva fino a 45 minuti: ciò significherebbe per chi viaggia nello spazio non poter contare su una tempestiva richiesta d’aiuto e di assistenza. Una missione può fallire miseramente se si trascura la capacità mentale degli astronauti di rispondere correttamente all’ansia e allo stress di una situazione d’emergenza. Per questo oggi chi lavora per viaggiare nello spazio viene sottoposto a massicci addestramenti, per imparare a superare quei blocchi psicologici che tutti abbiamo e che servono a tenerci al sicuro da ciò che non conosciamo.
Essere costretti in poco spazio per tanto tempo e con pochissime persone crea inevitabili problemi di convivenza. La NASA mette questo problema fra quelli più difficili da risolvere. Per questo studia da anni con molta attenzione le persone confinate in ambienti isolati, non per forza nello spazio. Gli astronauti passano attraverso training specifici, lunghi anche anni, che precedono la prima missione: vengono mandati in posti ostili, come il Polo Sud o grotte sotterranee, per testare la loro preparazione sia fisica che psicologica. Devono essere allenati ad affrontare il cosiddetto “disturbo dei tre quarti”, un disturbo psicologico dovuto al fatto che si tende a spezzare nel tempo la missione spaziale con un inizio, una metà, e una fine. Quando gli astronauti arrivano verso la metà (o meglio ai tre\quarti) della missione, si rendono conto che un periodo altrettanto lungo di isolamento li attende. E così è facile che l’umore si abbassi drasticamente, e la tensione e l’irritabilità salgano “alle stelle” (appunto😂).

👉🏼 Ma per gli astronauti, il solo fatto di poter godere della rassicurante vista della Terra dallo spazio rende più sopportabile il periodo di isolamento. È l’effetto “visione totale”: le testimonianze di diversi astronauti ci raccontano come, al ritorno dai loro viaggi spaziali, il loro punto di vista sulla vita, sugli altri e sul mondo sia cambiato per sempre. La Terra, da lontano, è immersa in uno spazio buio, freddo e privo di vita. Da quella prospettiva, il nostro Pianeta appare come un vero e proprio gioiello pulsante di vita, che galleggia nello spazio. Questo suscita negli astronauti un’emozione precisa: la meraviglia. Un senso di stupore ma anche di paura, verso qualcosa di grande, misterioso, inaccessibile.
È la stessa emozione che da piccoli provavamo quando facevamo qualcosa di nuovo. Eravamo sorpresi, entusiasti e a volte un po’ impauriti. Poi cresciamo, il mondo in cui viviamo diventa un’abitudine e ci sembra di avere visto già tutto (se non dal vivo, almeno in video). Siamo lì, concentrati su noi stessi, ingigantiamo i nostri problemi e sprofondiamo nell’insoddisfazione e nella noia. Perdiamo la capacità di meravigliarci. Eppure, gli astronauti ci insegnano che quando ci troviamo davanti a qualcosa di più grande di noi, che ci riempie di meraviglia, improvvisamente ci collochiamo diversamente nel mondo. Non siamo più noi al centro dei nostri pensieri: intuiamo di essere minuscoli puntini nell’Universo, e sentiamo di far parte di qualcosa di molto grande e bellissimo.
🔎 Però, non è che possiamo prendere a piacimento una navicella spaziale e andare a guardare la Terra dallo Spazio per vedere l’effetto che fa (e purtroppo, nemmeno chi andrà su Marte riuscirà ad osservare da lontano il nostro pianeta, perché la Terra è troppo lontana da Marte). Dobbiamo allora andare un po’ a cercarla questa meraviglia. La natura probabilmente è la migliore fonte di ispirazione, ma anche l’arte, la musica, letteratura ci possono aiutare. A me per esempio basta andare in mezzo al mare per meravigliarmi. E a voi, cosa serve?

Fonti:
• “Nella mente dell’astronauta. Psicologia delle missioni spaziali”, di Nicola Mammarella
• “Esercizi per rompere gli schemi”, di Marina Innorta
© G.Manoni